METAMORFOSI ovvero A PROPOSITO DI PRATI E FAUNA MINORE
Estate 1959.
Lido dei Pini, Lazio. Estate 1959.

Que reste-t-il de nos amours?
Que reste-t-il de ceux beaux jours?
Une photo, vieille photo, de ma jeunesse.

Charles Trenet

Se siamo destinati dalla nascita alla metamorfosi,
allora ogni vivente è condannato a restare in parte bambino:
l’infanzia non potrà mai abbandonarci.

Emanuele Coccia


Nella scatola delle mie fotografie di famiglia, conservo una foto in bianco e nero formato cartolina che mi ritrae bambino, accovacciato su un marciapiede di cemento, da qualche parte nel giardino di mia zia. L’immagine è sfocata, forse anche mossa, ma l’inesperienza di chi la scattò non ha impedito che, a distanza di più di sessant’anni, si possano ancora leggerne tutti gli elementi: i miei capelli a spazzola, la maglietta e i pantaloncini in stile d’epoca, le scarpe di tela con la suola di corda attorcigliata. Ma cosa facevo lì, seduto sui talloni? Ebbene, osservavo un grosso insetto. Lo si vede a pochi centimetri dai miei piedi: una macchia nera con le ali aperte, un coleottero? Forse un dittero corpulento? Impossibile dirlo, a causa dei problemi della fotografia. Però abbiamo prova certa che a quattro anni ero già incuriosito dalla natura. Ricordo anche che, a poca distanza da quel punto, in fondo al prato, c’era un vasto formicaio e che passavo del tempo a osservarne la febbrile attività, mi affascinava. Dunque potremmo perfino dire che da bambino ero attratto dalla cosiddetta "fauna minore"? Beh, se si hanno quattro anni quel mondo è vicinissimo, perché siamo piccoli e abbiamo vista acuta; infatti, d’estate, incontravo spesso anfibi, serpenti e insetti, ma anche grossi ragni di cui avevo un certo timore. Oggi invece, se non m’impegno con attenzione, non riesco più a vedere quasi nulla. Forse anche per questo, da adulto, quando ho cominciato a dedicarmi alla fotografia naturalistica, il mio sguardo si è diretto verso l’alto e gli uccelli l’hanno fatta subito da padroni. Uscivo però a volte in cerca d’immagini con un amico appassionato di macrofotografia; una coppia bizzarra: io sempre col naso all’insù, in cerca di volatili e lui invece sempre a testa bassa, in ginocchio tra le piante, con i suoi flash, a cercare cerambicidi e curculionidi, i suoi preferiti. È stato allora che ho cominciato a capire il fascino di quell’immensa nicchia fotografica. Un mondo di forme e colori di bellezza straordinaria, sorprendente soprattutto perché sostanzialmente invisibile. Ma la fotografia, per fortuna, ci permette di vedere quel che non riusciamo a vedere. Su questa facoltà ho riflettuto fin dai tempi della mia prima reflex: fotografare significa vedere anche l’invisibile e non soltanto se si usa un obiettivo macro. Insomma, senza una fotocamera, chi potrebbe immaginare le forme innumerevoli di quell’universo, che non è certo minore ma bensì maggiore, visto che rappresenta il 90% della biodiversità di qualsiasi ecosistema? Forse pochi studiosi, come quelli che nei secoli passati hanno iniziato a sistematizzare la natura. Ora invece tutto, nel bene e nel male, è diventato visibile e ci è permesso di arricchire la nostra consapevolezza in modo straordinario. Dice il filosofo: “Attento! Conosci il nome dell’insetto che cerchi di non calpestare?” Sì certo, oggi si può. La fotografia ha l’immenso potere di definire il mondo anche nei suoi elementi più nascosti; ce ne fornisce un’impronta che conserviamo e che è anche traccia della nostra stessa vita, perché sappiamo che di fronte a quel soggetto, in quel preciso momento, c’eravamo proprio noi, con le nostre ottiche e le nostre personali inclinazioni. È una specie di metamorfosi, in cui chi fotografa si trasforma nel suo soggetto e viceversa; tramite l’immagine, soggetto e fotografo sono interconnessi per sempre. Questa sorta di esoterismo fotografico mi ha sempre affascinato e così, con la mente occupata da pensieri un po’ bizzarri, sono sceso nel prato sotto casa: il luogo più vicino che mi dia certezza dell’ubiqua esistenza della metamorfosi e dell’unione cangiante di ogni forma di vita al cuore minerale del pianeta.


 
Colline del Chianti.
Il prato sotto casa, Chianti, Toscana. Canon EOS5D Mk III, ob. Canon 24-105mm f4.0.
30 novembre 2020, 15.35.57, ISO 200, lunghezza focale 24mm, priorità dei diaframmi, AV f22.0, TV 1/40, misurazione valutativa, One-Shot AF.

In quel prato si possono incontrare in gran numero i membri della cosiddetta fauna “minore” e non solo, visto che in Toscana anche la fauna “maggiore” è molto ben rappresentata; i lupi, di notte, vengono a curiosare nei giardini, dunque nessuna meraviglia che, un’estate, mi sia toccato fuggire dall’attacco di un grosso biacco aggressivo. L’avevo visto da lontano accanto a certe pietre e dovendo passare proprio da lì, mi misi a batter le mani per farlo allontanare; lui però non aveva alcuna voglia di assecondarmi e anzi, sollevata la testa con fare da piccolo cobra, mi venne incontro con piglio minaccioso. La mia fuga fu questione di secondi. D’altra parte, la prima impressione che ho camminando in un prato è sempre che nell’erba si nasconda qualcosa. Così, in primavera, quando la vegetazione mi sale oltre il ginocchio, ho un certo timore ad addentrarmi nel verde. Lo strato vegetale è così alto, umido e denso da farmi presagire qualche insidia: forse finirò per calpestare una serpe o sarò aggredito da sciami d’insetti pungenti? E che dire dell’incontro con le ragnatele di qualche grosso aracnide? Beh, non sono solo fisime ancestrali prive di fondamento, il prato sotto casa mia è densamente abitato e a volte, dopo certe visite più prolungate, ho dovuto medicarmi la pelle, irritata da fastidiose cocciòle. È segno che quei luoghi meritano rispetto e conservazione, perché celano un universo nascosto, una fauna ricchissima, che però, già da pochi metri di distanza, è impossibile riuscire a percepire. Solo addentrandomi, nei pressi di qualche vasta pozzanghera ho intravisto grossi rospi in cerca d’acqua e udito a volte il canto delle rane verdi. I sauri sono in gran numero: vicino a qualche muretto diroccato ammiro le cacce delle tarantole muraiole e sento il verso inaspettato del geco verrucoso, mentre le lucertole campestri sfrecciano ovunque e il ramarro occidentale talvolta compare. Vicini al terreno e alle loro tane le arvicole sfuggono ai loro predatori e nelle ombre del folto i ragni si dedicano a raffinate catture che, viste da vicino, possono addirittura risultare inquietanti per certi spiriti più gentili ma, inutile girarci intorno, a dominare ovunque sono gli insetti. Questo è il luogo delle loro metamorfosi: costoro hanno la capacità di plasmarsi corpi diversi nel corso di una stessa vita. Per gli insetti tutto è forma e ogni cambio di dimensioni ne produce una nuova. Per questo il mezzo visivo, pittorico o fotografico, si presta meglio di qualsiasi altro a definire con esattezza la vita degli insetti.
Linneo distingue per loro una triplice conformazione oltre quella dell’uovo: la larva, la pupa e l’imago. Qualcuno ha perfino scritto che queste tre fasi definiscono una sorta di teologia. L’aspetto reale dell’insetto si rivelerà solo nell’ultima fase, l’imago. Sì, proprio l’immagine che noi ricerchiamo con le nostre fotocamere, invaghiti di quelle forme e di quei colori che mutano di continuo. L’insetto è l’essere vivente in cui l’uovo non esiste solo all’inizio, prima della nascita. La forma uovo non si limita a precedere la nascita, la segue lungo tutto il corso della sua vita. Dunque non illudiamoci, anche per noi umani crescere non è soltanto un fatto dimensionale. Ogni crescita è una metamorfosi: come la ghianda diventa quercia così l’uomo da neonato giunge a trasformarsi in vegliardo. Il cerchio si chiude: sono io, accovacciato a scrutare un insetto, in quella vecchia fotografia ingiallita? Sì, anche se sembra incredibile, sono proprio io.

Pubblicato sulla rivista Asferico, quadrimestrale dell'AFNI, Associazione Fotografi Naturalisti Italiani, aprile 2024.


FAUNA MINORE AI overview (corretta dalla NI)
In Toscana, come in altre regioni italiane, per "fauna minore" si intende quell'insieme di specie animali di piccole dimensioni, tra cui anfibi, rettili, pesci, crostacei, aracnidi, insetti e piccoli mammiferi. Il termine "minore" non ha un significato sistematico o biologico, ma serve per distinguere questi animali dagli animali di maggiori dimensioni (come grandi mammiferi o uccelli). In sostanza, la fauna minore è quella che non occupa una posizione di rilievo solo in termini di dimensioni individuali.