Terga di elefanti Loxodonta africana, Masai Mara, Kenya. Canon EOS5D Mk III, ob. Canon 400mm f4.0.
31 agosto 2012, 17.39.24, ISO 640, lunghezza focale 400mm, priorità dei diaframmi, AV f8.0, TV 1/1250, misurazione valutativa, AI servo AF.
Il problema nasce insieme alla fotografia stessa, probabilmente alla fine del diciottesimo secolo, ma è solo nel 1859 che il poeta
Charles Baudelaire (1821-1867), commentando le opere di una mostra parigina, stabilisce con chiarezza, con parole addirittura
tranchant, quali sono
i motivi per cui la fotografia non può essere considerata arte.
Baudelaire afferma in primo luogo che l’arte vera è negazione della naturalità e che la fotografia, producendo una copia esatta di questa, non può che essere antitetica all’arte. Un brutto colpo, una vera cannonata; ma il poeta non si ferma lì e ci va giù ancora più duro, affermando che la fotografia è il rifugio (ahinoi!) dei pittori mancati, in quanto non richiede a chi la pratica quelle capacità tecniche e mentali che caratterizzano il “vero” artista. Una pietra tombale:
Arte Fotografica R.I.P.
Ebbene, quello che più sorprende, dopo questa precoce inumazione, è che i fotografi abbiano reagito in modo opposto a quello che ci si sarebbe aspettati. Volendo in tutti i modi essere considerati artisti, i fotografi, invece di ricercare una strada originale che conducesse a un’autonoma e peculiare arte della fotografia, decisero di seguire sempre più le regole della pittura, cercando una strada per farla mentire. Nacque così un vero e proprio movimento di
Fotografia Pittorialista, di cui fu grande interprete il britannico
Henry Peach Robinson (1830-1901), a cui si deve l’invenzione e l’impiego di sofisticate tecniche di
fotomontaggio, come si diceva allora. Un sistema tecnico che già permetteva di gestire, oggi diremmo in postproduzione, un’operatività quasi paragonabile a quella del moderno digitale. A definitiva prova che una vera rivoluzione digitale non esiste, mentre da più di due secoli, per fortuna, continua a esistere la fotografia.
Non è un caso, dunque, che Robinson scrivesse, nel 1869, che “stratagemmi, trucchi e magie d’ogni sorta, sono leciti al fotografo, perché appartengono alla sua arte”.
E non è forse questo il germe di ciò che sta accadendo anche oggi? Ebbene sì, negli anni venti del ventunesimo secolo siamo ancora al
pittorialismo.
Sembra incredibile ma il digitale, dopo la lunga parentesi legata alla grande diffusione della pellicola invertibile, che aveva tenuto la fotografia vicina (forse troppo) alla sua natura indicale, l’ha riportata indietro alla metà dell’ottocento, facendola ricadere nel gorgo pittorialista, nel luogo degli stratagemmi, dei trucchi e delle magie. Vada per le magie, visto che condivido l’idea di una natura “magica” della fotografia, legata alla sua particolarissima capacità di “fermare” il tempo; ma su trucchi e stratagemmi avrei qualcosa da eccepire.
Il grande
Fritz Polking (1936-2007), all’avvento del digitale, parlò con una certa soddisfazione di un “ritorno al passato” messo in atto dalla nuova tecnologia fotografica, aveva ragione e ho subito condiviso la sua posizione, ma non credo che se oggi potesse vedere quel che accade, sarebbe ancora così contento.
Beh, direte voi, questione di gusti. Sì certo, ognuno è libero di seguire i suoi, ma io ritengo che in ogni circostanza della vita si debba ricercare un minimo di consapevolezza. Dunque, volendo spingersi davvero sulla via degli stratagemmi e dei trucchi, occorre sapere che c’incamminiamo verso un
tradimento, verso il tradimento della natura più intima della fotografia che purtroppo, ci piaccia o no, resta sempre
indicale.
Niente di irreparabile, certo siamo liberi e possiamo andare dove vogliamo, ma dovremmo essere consci che oltre certi limiti parlare di fotografia diventa difficile e occorre accettare l’idea che, pur continuando a usare una fotocamera, ci stiamo ormai dedicando ad
altro.
Come non accorgersi, a questo punto, che per la fotografia naturalistica questa riflessione assume un valore centrale, una valenza assolutamente rilevante?
Se la fotografia in genere ha un rapporto di contiguità fisica con la realtà visiva, può la fotografia naturalistica pretendere di indebolire sempre più tale contiguità? Si tratta di una contraddizione in termini ma la mia risposta a quest’ultima domanda è naturalmente sì, purché sia chiara, a chi si avvia su questo percorso, la necessità di considerare anche un cambiamento terminologico, accettando di sostituire la parola “fotografia” con qualche buon neologismo. Il mio amico Carlo Delli parla di “immagini fotoprodotte” e credo sia una proposta degna di nota.
Dunque, tirando le somme del nostro ragionamento, sembra che anche oggi, con la scusa dell’arte, si voglia seguire la strada
del pittorialismo: un rigurgito anacronistico, un ritorno a due secoli fa. Sorprendente, ma anche piuttosto sconfortante, perché risulta dimenticata la comparsa sulla scena artistica, agli inizi del secolo scorso, del genio
Dada di
Marcel Duchamp (1887-1968).
I dadaisti affermavano che si dovesse ricercare una contaminazione fra l’arte e la vita, sostituendo l’arte con la vita o, se volete, rendendo arte la vita stessa. Questa posizione svelò quasi subito inaspettate connessioni con la fotografia, mettendo in luce
un chiaro parallelismo tra la poetica fotografica e quella del Dadaismo.
La fotografia essendo estranea al sistema tradizionale delle arti, non potrà mai essere uno sviluppo della pittura, alla quale anzi si contrappone; la fotografia, insomma, interpreta benissimo la spinta dadaista volta a sostituire l’arte con la vita e dunque si potrebbe affermare, senza tema d’essere smentiti, che la fotografia, seppure senza saperlo, è sempre stata dadaista.
Così, in pochi istanti, viene mirabilmente superata, anzi direi cancellata, tutta la secolare connessione-competizione con la pittura, perché la fotografia, nonostante le apparenti somiglianze materiali, non ha concettualmente nulla a che spartire con essa, collocandosi con orgoglio dalla parte del reale e rendendo arte il reale stesso.
Finalmente! Forse che i numerosi fotografi "neopittorialisti" dei giorni nostri dovrebbero rimeditare con attenzione il Dadaismo?
Il cerchio infatti si chiude con la comparsa dei
ready-made, elaborati da Marcel Duchamp a partire dal 1913.
La
Roue de bicyclette di Duchamp, primo
ready-made della storia dell’arte, è composto da una ruota di bicicletta, fissata su uno sgabello di legno per mezzo della sua forcella. L’artista estrae dal mondo due oggetti di uso quotidiano e, senza utilizzare alcuna manualità, li esibisce direttamente,
esibisce la realtà, apponendovi anche la sua firma, nella profonda convinzione che sia l’atto mentale dello scegliere, dello scegliere la ruota e lo sgabello, a fondare la sua opera d’arte.
L’analogia con la fotografia balza subito agli occhi, fotografia e
ready-made basano la loro artisticità su criteri analoghi: la fotografia infatti richiama l'idea dell'icona ma, concettualmente, funziona come un
ready-made.
Dunque l’arte del fotografo non è che
l’arte della scelta, la scelta di una parte del mondo reale, quella parte di mondo che egli decide di collocare, a volte scegliendo anche di mentire, all’interno del suo fotogramma. Sembrerebbe semplice, anche se in realtà non lo è moltissimo, ma a distanza di più di un secolo dalla
Roue de bicyclette di Duchamp, pare che ancora in tanti preferiscano dedicarsi a "dipingere con la luce".
Niente di male, io stesso sono un grande appassionato di pittura, ma se un giorno dovessi decidere di apprendere la tecnica dell’acquerello sarà mia cura dotarmi di pennelli e colori, non certo di una macchina fotografica.
Saluti dadaisti.
Questo articolo deve tutto alle mie
opinioni e moltissimo a tre geniali testi di teoria fotografica, fondamentali, credo, per chiunque voglia essere fotografo con consapevolezza:
Claudio Marra
L’immagine infedele
La falsa rivoluzione della fotografia digitale
Bruno Mondadori Editore 2006
Claudio Marra
Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre)
Bruno Mondadori Editore 2012
Carlo Delli
La fotografia coincide con la vita umana?
Il rapporto infinito tra Energia e Materia
2021
Firenze, 27 marzo 2022
La Roue de bicyclette di Marcel Duchamp