IL MENDICANTE
Il mendicante, Sri-Lanka 1999.
Mendicanti, Sri-Lanka, febbraio 1999. Canon EOS3, ob. Canon 70-200mm f2.8, Fuji Velvia 50, Scanner Nikon 4200 dpi.
Post-produzione con Photoshop CS3.

Mi dedico da tempo alla fotografia di natura ma, come per tutte le regole un’eccezione di conferma è sempre possibile e infatti l’assunto in homepage, “non fotografo persone”, non è da intendersi proprio come assoluto. L’immagine qui ne è visibile dimostrazione.
L’ho scattata molti anni fa ed è la prova che una scansione da diapositiva, a volte, può dare buoni risultati, almeno per il web. E' un controluce con ombre molto luminose, lo sfuocato di sfondo è ben riuscito e il soggetto, con quel raggio di sole sui capelli bianchissimi e l’espressione intensa, direi drammatica, buca il fotogramma con grande efficacia. Insomma, una buona fotografia. Io però, ogni volta che la guardo, provo un leggero senso di disagio.
Eravamo sulle montagne dello Sri-Lanka, dove gli inglesi, in epoca coloniale, si rifugiavano per sfuggire all’opprimente calore della costa e dove avevano creato estesissime coltivazioni di tè. Stavamo visitando proprio una di quelle antiche piantagioni e avevamo fermato l’auto in un punto panoramico, quando, come dal nulla, apparve un gruppo di mendicanti. Erano una decina, uomini e donne, di diverse età, ma in maggioranza anziani. Ci circondarono in pochi istanti, pressandoci, con parole incomprensibili ma con gesti inequivocabili, per ottenere un’elemosina.
Non so cosa mi prese, come mi venne l’idea, forse ebbi l’impulso solo per il fastidio di dovermi confrontare, io agiato turista occidentale, con la miseria di quella gente, così da vicino e in così netta minoranza. Fatto sta che, dopo averli raccolti al centro del piccolo piazzale di sosta, proposi a quei mendicanti di posare per me, a pagamento. Naturalmente accettarono.
Forse pensai che fosse un modo rapido per liberarsi della loro presenza imbarazzante, forse mi dissi, facendo un ragionamento un po’ ipocrita, che in qualche modo stavo offrendogli un lavoro, che avrebbe poi giustificato la piccola prebenda che mi preparavo a fornire. Fatto sta che per qualche minuto scattai fotografie a quelle persone. E quella che vedete è senz’altro la migliore che ottenni.
Ho pagato il modello, come è giusto, e lui ha dato il massimo, non si può dubitarne. Ma ogni volta che ripenso a quell’episodio, ogni volta che guardo questa fotografia, mi prende un senso di vergogna per quello che ho fatto. Un gesto abbietto mi dico, e lo pensai quasi subito anche allora, un vero schifo. E questa bella foto, con lo sguardo di quel vecchio che ancora, dopo tanto tempo, mi fa vergognare, ne rappresenta il crudo memento.

Qui dunque sta il punto. Con un gesto che ora sento riprovevole ho prodotto un'ottima immagine. Un bel conflitto… dunque avrò fatto bene ad allontanarmi, a dedicarmi a paesaggi e volatili? A tentare la strada della fotografia naturalistica? In fondo questo tipo di espressione, più forte, più impegnata socialmente, è molto frequentata e pure, di solito, molto apprezzata.
Vivo in una grande città e l’incontro con soggetti fotografici di questo tipo è, purtroppo, più che quotidiano. La voglia di fotografarli però non mi è mai più venuta. Da allora, di fronte alla sofferenza e al disagio sociale, l’impulso fotografico non mi si accende e anzi, istintivamente, di fronte a queste persone sfortunate, spesso anziane e in condizioni di grave degrado umano, l’idea di mettermi a scattare una fotografia mi sembra repellente, irrispettosa e lontana anni luce da qualsiasi espressione di pietas.
Penso che se fossi io, lì in quelle condizioni, non sarei proprio felice di essere fotografato da qualcuno, che poi magari usa la mia foto per tentare un concorso o pubblicarla da qualche parte, penso anche che loro non potrebbero venire a casa mia a fotografarmi nei semplici gesti della vita quotidiana e che se lo facessero non lo gradirei poi molto. Oggi penso insomma, emotivamente, solo emotivamente però, badate bene, che quel tipo di fotografia sia una fotografia da non fare. Viviamo in un mondo in cui l’emotività dilaga e guida le vite della gente e quindi credo che anche la mia, di emotività, possa, ogni tanto, avere il suo spazio.
Ecco perché ho poi cercato di calare il problema in una dimensione culturale, di analizzarlo per capire, ma il risultato è stato che spesso, esprimendo il mio pensiero sul delicato argomento, sono stato oggetto di reazioni vivaci, se non aggressive, da parte di altri fotografi. Mi si è detto infatti, che questa è una fotografia di denuncia, che vuole scuotere le coscienze anestetizzate della gente, mi si è detto che queste fotografie si fanno per condividere con altri un’emozione, un sentimento di solidarietà e comprensione e mi è stato anche detto che respingerle esprime una natura perbenista, ipocrita, falsamente moralista.
Io però, pensandoci bene sono giunto a una conclusione diversa, che cercherò di trasmettervi nel modo più conciso, visto che stiamo andando per le lunghe.
La mia conclusione è che fare queste fotografie è difficile, forse molto difficile, perché serve al fotografo di avvicinarsi al soggetto fino a creare un contatto, una sorta di relazione empatica, in cui le sue buone intenzioni, solidali e comprensive, tocchino con forza il fotografato, passando poi, chiaramente, inequivocabilmente, con lui nell’immagine. Non è una cosa semplice, ci vogliono importanti doti umane, comunicatività, capacità di arrivare a instaurare forse addirittura una complicità con quel tipo di persone… quanti di noi hanno queste doti? Quanti hanno la possibilità, il tempo, di dedicarsi a un cimento di questa fatta? Io di certo no, sono un timido e infatti non ci provo più nemmeno, preferisco i miei volatili, nessuna difficoltà ad ammetterlo. Ma se esploro l’universo fotografico trovo che alcuni sanno molto bene di cosa sto parlando ed è a loro che, inevitabilmente, va tutta la mia ammirazione.
Bene, direte, come mai allora questo mendicante è venuto così bene, come mai il suo sguardo è così espressivo e intenso, come sono riuscito a superare la difficoltà se dietro a questo scatto c’è solo un gesto disdicevole?
Beh, come ho già detto, credo che l'eccezione conferma la regola e che qui si sia trattato solo di fortuna, di un colpo di fortuna.